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MARS ATTACKS!
(MARS ATTACKS!)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 marzo 1997
 
di Tim Burton, con Jack Nicholson, Glenn Close, Annette Bening, Pierce Brosnan, Danny DeVito, Martin Short, Michael Fox, Rod Steiger, Silvia Sidney, Tom Jones (Stati Uniti, 1996)
 
Il cinema dell'autore di BATMAN è quello di una immaginazione visionaria che sa liberarsi del proprio soggetto per immergerlo in altri fantasmi: quelli dell'infanzia, delle fiabe, della psicologia, dei riferimenti contemporanei. La grazia, l'intelligenza e la poesia del cinema di Tim Burton nasce dall'incontro fra la dimensione quasi sfrontata dei suoi superprodotti e le contraddizioni che governano i suoi personaggi. È il cinema del doppio, dove ogni verità, ogni certezza vale quanto il proprio contrario: dove buoni e cattivi lo sono sempre soltanto a metà. Doppi e contraddittori: come Batman, forte e timido, capace di volare, ma appeso ad un filo. O il malefico Joker: comico, e quindi debole. O il perverso Pinguino: ma anche perché scaraventato nelle fogne dai genitori.

MARS ATTACKS!, per certi aspetti, non sfugge alla regola. I fantasmi dell'infanzia sono quelli di 55 figurine contenute nelle chewing gum The Topps degli Anni Sessanta: i marziani verdognoli prima maniera, con il cranio ipertrofico sinonimo d'intelligenza e di civiltà avanzate, ma con la vocina da Paperino infuriato che li apparenta, più che a dei superman, a dei discoli viziosi, lubrici ed anarchici. Più cattivi che buoni; soprattutto, incomprensibili.

Il marziano, il mostro, la maschera, la fiaba rappresentano per il regista tutto ciò che è impossibile comprendere. E che non è disonorevole ammettere di non potere capire.

All'opposto di questa zona del mistero e dell'assurdità si estende invece il regno di coloro che hanno capito tutto. E non a caso Burton costruisce la sua sceneggiatura su due poli rappresentati da personaggi interpretati dallo stesso attore (il funambolico, impressionante Jack Nicholson) e su due luoghi dal significato ben preciso. Il Presidente dalle tergiversazione non-intervenzionistiche alla Clinton, nella Washington del potere pubblico: convinto di rappresentare il cosmo, ma preoccupato essenzialmente della scelta del proprio doppiopetto. E Art Land, il faccendiere sconsiderato nella capitale della paccottiglia consumistica, Las Vegas: altrettanto ignorante della perversità dei marziani, ma cosi convinto della priorità del profitto su ogni altra considerazione da non accorgersi - mentre sollecita nuovi clienti - che gli stanno disintegrando gli alberghi attorno.

Ma tutti i personaggi - in uno spaccato irresistibilmente parodistico ma non per questo meno emblematico della società contemporanea - sono dei prototipi d'umanità cieca e vanesia: dai generali che stanno accanto al presidente, e che ricordano quelli paranoici ed irresponsabili del DR. STRANGELOVE di Kubrick, allo scienziato specializzato in cosmologia. Che Burton fa irresistibilmente interpretare al seduttore fatuo e sicuro di sé Pierce Brosnan (l'ultimo James Bond), innamorare di una ovvia presentatrice televisiva, e ritrovare ambedue su Marte: lui smembrato e collegato ad un assurdo congegno extra-corporeo, lei con la testa ricucita sul corpo di un chihuahua. Dall'ex-alcolista che si rifugia nei riti New Age, al segretario della Casa Bianca che riduce tutto in termini d'immagine e di seduzione, alla famiglia fascisteggiante del Mid-West che si allena alla carabina per inviare il primogenito come nel Vietnam a farsi abbrustolire dai marziani,è tutta una galleria intitolata alla stupidità. Quella che si nutre di informazioni alla moda: e che è ormai incapace di accorgersi di quanto di misterioso, di ancora incomprensibile le si agita attorno.

È il fatto nuovo nei discorsi di Burton: dietro l'accentuazione del tratto caricaturale si nasconde una sorta di esasperazione. Ed Wood o il Pinguino erano pure mediocri, deboli o perversi: ma con qualche giustificazione che veniva dalla loro origine, educazione, condizione psicologica. I personaggi di MARS ATTACKS! (salvo qualche rara eccezione costituita dai soliti innocenti: i giovani, ma che si limitano ad un intervento marginale, la nonna, ma che è simpaticamente senile) sono totalmente negativi. E negati a qualsiasi ipotesi di redenzione.

Di questo suo assolutismo Burton fa un surplus comico e provocatorio: ingaggia una serie inverosimile di star hollywoodiane che lo spettatore si divertirà a riconoscere (anche perché rappresentativi di un mito, di una psicologia della rappresentazione americana contemporanea) ma li fa miseramente scomparire in poche sequenze, solitamente ischeletriti dai micidiali laser degli alieni. Solo Tom Jones, simpatico erede dell'assurdità di Las Vegas dopo la scomparsa di Elvis, riuscirà a salvare la faccia: e le sue canzoni - fatte di una micidiale associazione di melodia country contaminata da chitarre hawaiane - avranno ragione degli invulnerabili marziani. Del tutto insensibili ai razzi atomici dei militari (anzi golosamente avidi dei più pestiferi veleni) questi vedranno spiaccicarsi il bulbo vitreo che protegge la gelatina verde dei loro abnormi cervelli.

Ma l'ironia di Tim Burton non è tanto in questo elenco di facezie goliardiche: piuttosto nel segno di uno straordinario, inarrestabile virtuosismo registico. MARS ATTACK!, pur ricalcandone ironicamente lo schema di film-catastrofe, è il contrario di INDEPENDENCE DAY: non solo perché ne sostituisce il bolso patriottismo con il possibilismo fantastico, la paranoia con l'ironia, la dimostrazione pachidermica con il dubbio introdotto dalla destabilizzazione comica. Ma perché rappresenta il trionfo della libertà inventiva nei confronti dello strapotere condizionatore dell'effetto tecnico.

Dalle prime sequenze (le mucche in fuoco su una strada di campagna, le astronavi in volo verso la Terra) la poesia dell'assurdo e dell'invenzione grafica rivaleggiano nel motivare le immagini di un film dall'iconografia splendida. Nel segno di una disinvoltura assoluta della sceneggiatura e della formidabile invenzione registica che governa ogni inquadratura del film, MARS ATTACK! traduce allora - con l'allegria di una ferocia ancora sconosciute - tutta l'energia di un creatore di forme scatenato.

Tm Burton non aveva mai girato un film cosi brillante, libero ed inventivo. Al tempo stesso, incondizionato, feroce ed impietoso. È questa contraddizione - cosi simile a quella dei suoi personaggi - che esalta un film iconoclasta. Ma che finisce per insinuare un dubbio: quello che dietro ad una visione cosi lucida ma priva di commozione delle assurdità del nostro tempo si nasconda il malessere di un artista ai vertici della propria maestria. Ma al più profondo del disincanto: quello che conduce alla vanità creativa.


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